The Zen of Improv: Esistono “Giusto” e “Sbagliato”? - Pam Victor

Pam and poodle
Qualche mese fa ho messo in preordine il libro "Improvisation at the Speed of Life: The TJ and Dave Book".
Di Tj and Dave abbiamo già accennato in qualche post precedente del blog: sono riconosciuti, sia come duo che come singoli, tra i migliori Improvvisatori sul pianeta; coautrice del libro è Pam Victor, che non conoscevo.
Pam, come ci dice sul suo sito, è "Improvvisatrice, autrice, giornalista, insegnante e una bella persona"; mi sono appassionato subito al suo blog che contiene tantissimi spunti e approfondimenti interessanti.
Come abitudine di Improvvisatori.it, l'abbiamo contattata per chiederle il permesso di tradurre alcuni dei suoi scritti per la comunità improvvisativa italiana e Pam è stata gentilissima e disponibilissima, per cui vi proponiamo oggi il primo post di una serie che vi offriremo, come dice Pam, nel nostro "sexy language".
Il primo articolo è tratto dalla serie "The Zen of Improv", ed è la prima parte di una riflessione sul giudizio nell'improvvisazione.

Il (non)-giudizio nell’improvvisazione (prima parte)
Esistono “Giusto” e “Sbagliato”?

Il regalo di benvenuto che spero di dare agli studenti che fanno i primi passi improvvisati è la libertà dal giudicare il proprio lavoro “giusto” o “sbagliato”, almeno per il primo anno. (E magari per sempre). Li invito a sospendere il giudizio sul proprio lavoro perché inizio a sospettare che “giusto” e “sbagliato” non esistano nell’improvvisazione, specialmente durante i corsi e le prove. Nel commentare una scena appena conclusa, preferisco chiedere “Cosa ti è sembrato semplice in questa scena? Che cosa hai trovato più difficile?”. Cerchiamo continuamente la semplicità nell’improvvisazione perché, come mi ha insegnato TJ Jagodowski, la bellezza si annida nella semplicità. (…)* Quindi mi piace anche chiedere “In cosa la scena è stata divertente? Attori, cos’è stato divertente fare in scena? Pubblico, che cosa è stato divertente da vedere?”, ma non chiedo mai “Che cosa era giusto, che cosa sbagliato?”, perché non penso che tale valutazione sia utile… e, come ho detto, non sono nemmeno sicura che “giusto” e “sbagliato” esistano quando nel tuo primo periodo improvvisativo (non sono nemmeno sicura di quando il cosiddetto “primo periodo” finisca, ma ci arriveremo tra un po’).

La mia parabola preferita a riguardo è una nota storia taoista del fattore a cui è scappato un cavallo, e che recita più o meno così:
“Dopo che il cavallo del fattore fuggì, il vicino di quest’ultimo gli portò le proprie condoglianze, ricevendo per risposta la neutralità del fattore: “Chi lo sa se è una cosa positiva o negativa?”. Il fattore ebbe ragione. Il giorno dopo il cavallo ritornò, portando con sé una mandria di cavalli selvatici con cui aveva fraternizzato nel suo vagare. Il vicino tornò dal fattore, questa volta congratulandosi per tale dono inaspettato. Ma venne accolto dalla stessa osservazione: “Chi lo sa se è una cosa positiva o negativa?”.” Affermazione che si rivelò puntuale una seconda volta: il giorno dopo, il figlio del fattore provò a montare uno dei cavalli selvatici ma cadde, rompendosi una gamba. Il vicino tornò, questa volta con ancora più compassione, solo per ricevere una terza volta la medesima domanda: “Chi lo sa se è positivo o negativo?”. E ancora una volta il punto di vista del fattore si rivelò esatto, poiché il giorno seguente vennero i soldati per arruolare componenti per l’esercito ma, a causa dell’infortunio, il figlio non fu selezionato” - Connie Zweig, “Meeting the Shadow: The Hidden Power of the Dark Side of Human Nature”.

Ognuno di noi ha vissuto scene improvvisate, a lezione, in prova e sul palco, che facendole ci sono sembrate delle vere cagate. Ci sono sembrate merdose perché abbiamo scelto di etichettarle come “sbagliate”. Ma riflettendoci, o in seguito al feedback di un insegnante, possiamo individuare il singolo dettaglio che ci ha coperto di letame. Se sarà servita come motore di una crescita personale, quella scena alla fine sarà da considerarsi giusta o sbagliata?

Qualche anno fa, la mia compagnia arrivava da una serie di spettacoli fantastici. Avevamo sviluppato un nuovo format intitolato “Strizzacervelli: Freud, ti presento il Divertimento”, e gli spettacoli ci sembravano davvero eccezionali. Stavamo facendo una doppia serata di questo spettacolo presso un Fringe festival locale, e la prima sera avevamo decisamente spaccato con un tutto esaurito. Festeggiando dopo lo spettacolo, mi ero completamente crogiolata nella “bellezza” dello spettacolo e già pregustavo quanto sarebbe stato altrettanto figo lo spettacolo del giorno seguente. 45 minuti dopo l’inizio di quella seconda replica, diciamo solo che il picco di aspettativa fu rapidamente rimpiazzato da un picco di delusione uguale e contrario (come dico spesso: “La vita è un fottuto yin yang”). Il secondo spettacolo non fu per niente piacevole. Veramente, veramente PESSIMO SOTTO OGNI PUNTO DI VISTA. Persa nel brodo di giuggiole del precedente spettacolo “bello”, nel secondo mi ero dimenticata di ascoltare, condividere il fuoco, dare importanza al mio partner, e un sacco di altre cose importanti. Credo di aver camminato su qualche mobile e aver sventolato un sacco le braccia. L’unica cosa buona fu che non interpretai un pirata (anche se potrei aver rimosso quella parte). Ragazzi, mi sentivo davvero di merda dopo quel secondo show. Non riuscivo a guardare i miei compagni negli occhi. Avrei voluto scavarmi una buca a mani nude e seppellirmici viva. Non avrei mai più voluto improvvisare. Lo spettacolo fu “brutto”. Davvero fottutamente brutto, fidatevi.

Ma dopo esser riuscita a strisciar fuori dalla mia orrenda buca della vergogna, mi son chiesta perché lo spettacolo non fosse andato bene per me. Ho parlato coi miei compagni riguardo a cos’avessero visto loro e come secondo loro lo show avrebbe potuto essere più semplice e divertente. Venne fuori che avevo passato l’intero spettacolo in quello che Patsy Rodenburg definirebbe “Terzo circolo”, in cui tutta la mia energia si spargeva per il dannato posto, impedendo a qualsiasi energia esterna di entrare. Mi ero dimenticata sia di ASCOLTARE che di REAGIRE - i due pilastri fondamentali dell’improvvisazione. Anni dopo, ho ancora i brividi ripensando a quella performance, ma mi ha insegnato così tanto. Sono ancora piuttosto intenzionata a non far nulla in scena che possa portarmi a ripetere una simile esperienza di prosciugamento dell’anima. Quello spettacolo “brutto” mi ha trasformata in un’Improvvisatrice migliore. Quindi è stato uno spettacolo “positivo”? O “negativo”? O entrambi? O nessuno dei due?

David Razowksy
“Non ho fatto uno spettacolo negativo in 25 anni. Altri potrebbero non essere d’accordo, ma io non sono qui per giudicare voi, lo spettacolo né tantomeno me stesso” - David Razowksy, “Geeking Out with… David Razowsky”.

Se l’obiettivo del corso è imparare e aiutare gli altri a imparare, non esistono scene brutte. Allo stesso modo, se non impariamo nulla da una scena “buona”, può davvero essere definita buona?

Un’ultima storia e poi vado. È di Keith Johnstone, uno dei pionieri dell’improvvisazione moderna, col quale ho avuto la fortuna di studiare un pomeriggio agli albori della mia carriera improvvisativa. Da come lo ricordo, Mr. Johnstone ci ha raccontato di come avesse deciso d’imparare a realizzare un autoritratto disegnandone uno al giorno per un anno intero. Attorno al 200esimo disegno, aveva guardato il suo disegno scrollando le spalle. Se fosse stato il 365esimo disegno, avrebbe potuto giudicarlo “brutto” perché non era soddisfatto. Ma gli restavano altre 165 occasioni per migliorare. Sono moltissime! Da qui la scrollata di spalle: “Chi lo sa se è una cosa positiva o negativa?”.
Chi può sapere quante scene avremo occasione d’improvvisare nel corso della nostra vita? È probabile che la prossima non sia l’ultima (a meno di scontri con autobus, apocalisse zombie, o altre sfortunate e premature conclusioni). Se siamo ancora all’inizio del nostro percorso sulla strada dell’improvvisazione, potrebbe essere troppo presto per giudicare il nostro lavoro. E se vivrai tipo 127 anni, sei assolutamente all’inizio del processo di apprendimento.
Come potrebbe essere abbandonare il concetto di “giusto” o “sbagliato” nell’improvvisazione?

“Quando amore e odio sono entrambi assenti, tutto diventa chiaro e ben definito. Basta la più piccola distinzione, tuttavia, e la Terra e il Cielo diventano infinitamente distanti. Se vuoi vedere la verità, non devi avere alcun pregiudizio, positivo o negativo che sia. Schierare ciò che apprezziamo contro ciò che disprezziamo è la malattia della mente” ― Hsin Hsin Ming.


*(in un breve riferimento tagliato, l’autrice fa riferimento a un altro suo post in cui ringrazia Susan Messing per averle trasmesso il concetto di improvvisazione come “joyride” e in cui dice che spesso, riferendosi all’improvvisazione appunto con questo termine, indica qualcosa di differente per ognuno. A lei piace pensare che ogni Improvvisatore debba rendersi conto di ciò che gli porta maggiore gioia nell’improvvisare. Per Pam la maggior soddisfazione sta nell’improvvisare con persone che amano e rispettano e che la sfidano dolcemente, improvvisando “dal cuore”).

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