Alla Velocità della Vita - Capitolo 10: SULLA PAURA

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In scena, le scelte dettate dalla paura sono causa della maggior parte dei passi falsi di un Improvvisatore. La paura e il panico d’incappare nell’ignoto coltivano l’inerzia, le battute inopportune e la noia.

La paura ci è nemica, ma anche amica.


Non solo ci troveremo meglio se non soccomberemo alla paura, ma anche andandole incontro attivamente, affrontando i temi apparentemente spaventosi, e compiendo scelte coraggiose e determinate. Più spesso che no, simili gesti coraggiosi creeranno dell’ottimo teatro. Il punto dell’improvvisazione è andare là fuori con nient’altro che il proprio ingegno e qualsiasi sicurezza in noi stessi riusciamo a invocare. La paura è la comprensibile reazione umana al tentativo di soddisfare la nostra parte del contratto col pubblico. Gli Improvvisatori rispettano l’accordo seguendo quella che potrebbe essere la strada meno confortevole, camminando su quel palco senza alcun piano. Come conseguenza, si crea quest'interessante relazione con la paura, che è sì la strada maestra verso tutti i demoni improvvisativi, ma contemporaneamente ci indica la via del Bene improvvisativo.

TJ E DAVID SULLA PAURA
Non combattere la paura, ma non scappare nemmeno: presta attenzione e scopri dove ti porta. I problemi emergono quando scordiamo di stare attenti, di guardare i nostri compagni di scena o di ascoltare con la totalità del nostro corpo. In breve, dimentichiamo di fare semplicemente la piccola cosa successiva. E la principale ragione per cui ci dimentichiamo è la paura. La paura è la squadra avversaria. La paura è il cattivo in questo spettacolo. Più precisamente, il permettere alla paura di sopraffarci, portandoci a reagire senza integrità e grazia, è il diabolico arcinemico della buona improvvisazione.

È naturale essere nervosi quando si va in scena, ma il pubblico non vuole vederlo; si sentiranno a disagio per noi, che a nostra volta riceveremo il loro disagio. Ha inizio uno spiacevole circolo vizioso di inquietudine. Un modo in cui il pubblico percepisce quel disagio è quando una persona in scena continua a blaterare senza sosta. A differenza della radio, non abbiamo bisogno di evitare i “vuoti” purché qualcuno stia facendo qualcosa. Il che include l’atto di ascoltare. O pensare. O reagire. Un buon modo per mettere da parte la paura è restare in silenzio e ascoltare.

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Nella vita vera, quando pensi “Oh cavoli. Non dovremmo fare questa cosa altrimenti tutto finirà”? C’è sempre qualcosa che succederà dopo. Persino se dovessi morire, qualcos’altro seguirà (il lutto, ad esempio. E magari quella tanto osannata luce bianca da seguire. E sicuramente la decomposizione). Vai e fai il passo successivo, perché è tremendo far aspettare una platea che è già al traguardo mentre gli improvvisatori temporeggiano sul rettilineo. Non sappiamo mai dove finirà una scena. Finché non ci arriviamo, ci sarà sempre qualcos’altro da fare.

Anche quando riusciamo a evitare la trepidazione del salto nel vuoto, condividiamo la paura che ciò che stiamo facendo non sia abbastanza. È tosta, quella paura. E noi dobbiamo evitare d’impanicarci quando sentiamo salire quel pensiero. Quel pensiero è una menzogna. Se ci concentriamo sui nostri compagni di scena e prestiamo vicendevolmente la nostra attenzione a ogni momento che passa, non lasciamo nessuno spazio al dialogo interiore del dubbio. Stanno succedendo troppe cose, e sono tutte importanti: non c’è spazio per nient’altro.

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Come in ogni storia degna di essere raccontata, il cattivo non è completamente cattivo. Anche la paura ha un lato positivo, anche se la paura che ci fa dubitare di noi stessi è da evitare. “Segui la paura” significa seguire la strada più interessante, che potrebbe anche essere la meno frequentata e più impervia. Fa paura perché potremmo non aver niente d'interessante o arguto o divertente da dire. Siamo spaventati, ma ci buttiamo. “Segui la paura” non ci dice di non essere spaventati. Lo richiede. Richiede che andiamo verso ciò che solitamente eviteremmo: momenti difficili, personaggi scomodi, reazioni impopolari ma oneste. Ancora oltre, l’esplorazione di argomenti come la gentilezza e l’empatia potrebbe portarci in posizioni spaventose, vulnerabili. Nella vita reale, potremmo metterci in guardia alzando muri di non-completa-verità. Possiamo permetterci di essere onesti in scena. Possiamo permetterci di essere spaventati. Spiacevoli. Aperti, dolci o teneri.

Nell’improvvisazione, potremmo voler preferire le grandi domande, quelle più difficili, quelle che facciamo i salti mortali per evitare nella vita vera.

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A volte ci preoccupiamo della nostra abilità a gestire un personaggio nominato in precedenza nello spettacolo. (...) Possiamo interpretare accuratamente questo personaggio? Ecco la parte spaventosa per noi. Dovunque lo spettacolo stia andando, dobbiamo andarci anche noi. A chi importa se non possiamo farlo bene? Dobbiamo farlo comunque. È il nostro lavoro.

“Segui la paura”, spiritualmente, significa non aver paura di seguire lo spettacolo. Stasera è questo, che ti piaccia o no. Se quel personaggio che abbiamo creato è un tipo tosto, quello è lo spettacolo. Dobbiamo cercare di non essere spaventati da ciò che è già lì. Non ci sono uscite di sicurezza nell’improvvisazione. Se stai pensando “Oh diamine. Ho paura di questa cosa”, peccato. Hai comprato il biglietto per un’attrazione senza avere idea di cosa fosse. E se vien fuori che questo momento è ciò in cui l’attrazione consiste, sono affari tuoi se hai paura, perché non hai più la possibilità di scegliere se salirci o no. Le tue uniche opzioni sono A) fai lo spettacolo così com’è o B) lo mandi a puttane.

Segui la verità. Segui lo spettacolo, ovunque vada. Non significa che creiamo momenti spaventosi artefatti - Vampiri! Sanguisughe! Poppanti! - o che dobbiamo esagerarli - Più vampiri! Più sanguisughe! Più poppanti! Significa semplicemente che non ci tiriamo indietro in caso dovessero rivelarsi a noi. Tanto quanto non tarocchiamo lo spettacolo, non creiamo ad arte la paura. Non vogliamo creare nulla artificialmente. Perciò, se un serial killer si manifesta in questo spettacolo, qualcuno dovrà farsi forza e interpretarlo. Potremmo pensare tipo “Oh merda. Dobbiamo fare un serial killer” oppure “Oh merda. Un serial killer! Figata!”. La paura è lì. Non la inventiamo né la evitiamo. Piuttosto, cerchiamo di notarla. Se la paura è lì, facci caso. Fai caso a tutto.


STRALCI DI CONVERSAZIONE: Paura

TJ: Le paure sono autoreferenziali; perciò se posso ricordarmi di qualcosa che dovrei fare all’infuori di me, qualche volta riesco a uscirne. E se tutto il resto fallisce, aspetto che lo spettacolo inizi e spero che l’atto stesso dell’improvvisazione scacci la paura.
In un certo senso, mi rallenta nella direzione sbagliata e mi accelera nella direzione sbagliata. Se lasci che ti colpisca, la paura fermerà i giusti pensieri lenti che dovresti avere e ti farà avere pensieri rapidissimi nella direzione sbagliata.

Pam: La paura può rallentare le connessioni mentali e i pensieri più validi. Ma gli attori che si lasciano sopraffare da quella sensazione accelerata dalla paura possono optare per scelte disperate perché i loro cervelli stanno andando troppo veloce, e sentono di dover fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

David: E il modo di pensarla è che non dobbiamo fare nulla. Dobbiamo essere qualcosa. Dobbiamo essere questa persona. Non posso non essere nessuno. Perciò quelle paure sono ridicole.

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David: Quando inizio a sentirmi nervoso, mi sovviene che “Ah già, sarò ancora vivo alla fine di questo spettacolo. Nel bene e nel male. Questa cosa non mi ucciderà”. Non ti dico neanche quanto spesso mi ritrovo a pensarci. Non è questione di vita o di morte. Il peggio che posso fare è deludere qualche persona - e davvero, non so nemmeno se posso arrivare a quello semplicemente con uno spettacolo tremendo. Quelli che si aspettavano di essere delusi saranno in estasi. (...)
Parafrasando Jeffrey Sweet, posso mettermi i bastoni tra le ruote di un’esperienza meravigliosa sin dall’inizio. Quando sposto tutta l’attenzione sulla mia paura, quella è la verità. Questa paura mi tratterrà dal vivere qualcosa di grandioso. Perché mai dovrei volerlo?
Penso che il punto qui sia che bisognerebbe fallire milioni di volte. Se non ho mai fallito, quella paura è enorme. Ma se ho fallito - a vagonate - è solo un’altra esperienza che ho vissuto e che non mi ha ucciso. Perché dovrebbe farmi paura?

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