Our Play, le origini - dal blog di Patti Stiles



Primo articolo di rimbalzo al ritorno dal Welcome Festival di Roma, inizio con una traduzione perché, nel lavoro di risistemazione mentale dei milioni di stimoli e cose meravigliose viste, mi sono imbattuto in questo articolo di Patti sulle origini dello spettacolo che con Joe Bill ha messo in scena anche al festival.
Uno spettacolo semplice nella forma ma insieme speciale e fortissimo che mi ha emozionato e fatto pensare tanto, e a cui riserverò qualche riga pià avanti.
Mi piace condividere questo articolo perché è molto di più di una spiegazione dello spettacolo, è un messaggio forte e chiaro di apertura e accoglienza della diversità e credo sia anche molto appropriato per il "periodo storico improvvisativo" che sembra stia cominciando in Italia, mi permetto di dire anche grazie a festival come il Welcome, per cui ringrazio ancora i Bugiardini.

In tanti mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su come sia lavorare con Joe Bill e sul nostro show improvvisato “Our Play”. Quindi ecco qui. Potrebbe sembrare una storia molto lunga per una questione così semplice, siate pazienti, per favore, per me fa tutto parte del percorso.

L’inizio

Nel 2009 sono andata ad Austin in Texas per esibirmi all'Out Of Bounds Festival. È stata un’esperienza molto divertente con tanto ottimo lavoro.
È stato anche un momento un po’ strano. Come? Bene, ecco alcune note dal mio diario. Sono commenti che le persone hanno fatto incontrandomi per la prima volta.
  • "AH quindi tu sei la tipa Johnstoniana vediamo cos'hai di speciale."
  • "Farò il tuo workshop ma ho già fatto un workshop con Keith quindi conosco il suo lavoro."
  • "Dev'essere strano essere una studente di Johnstone con così tanti studenti di Del Close qui."
  • "Dovrai cambiare il modo in cui giochi, questa folla è in Chicago style, non gli piace lo stile johnstoniano."
A pensarle tutte insieme sono interessanti. Poteva essere un po’ di gioco di status? Per alcuni lo era certamente, altri erano solo persone che cercavano un gancio di connessione per una conversazione. Non mi hanno infastidita, mi hanno interessata e per questo li ho trascritti.
È una riflessione sulla scena improvvisativa. Queste manovre a gomiti alti per una posizione e il dibattito infinito su chi ha creato l’improvvisazione. La scena nord-americana sembra ossessionata da questo. Conversazioni di questo tipo sono molto meno frequenti in Europa. Trovo il dibattito su chi abbia creato l’improvvisazione abbastanza divertente. Stiamo onestamente provando a definire chi ha inventato “crea qualcosa dal nulla”? Nessuno ha inventato l’improvvisazione. L’improvvisazione è qualcosa che facciamo naturalmente. I bambini hanno improvvisato giochi e storie da prima che qualcuno la chiamasse improvvisazione. Gli adulti improvvisavano soluzioni ai problemi molto prima che il termine venisse alla luce.
Il primo uso della parola che ho potuto trovare risale al 1826. Le sue origini sono riferibili al latino Improvisus, all’italiano Improvviso, al francese Improvisier e così via.
Lo studio della nostra capacità improvvisativa naturale e il lavoro emerso da quell’esplorazione sono unici rispetto a ciascun insegnante.
Questa esplorazione aggiunta ai risultati e alle scoperte sono il lavoro degli insegnanti ed è questo ciò di cui gli insegnanti possono essere accreditati, non l’improvvisazione in sé.
Le linee di battaglia derivano da una necessità dell’ego. "Il mio insegnante è il primo!", "Il mio insegnante l’ha inventato", così sono i migliori. Le frasi gridate dalla cima delle colline stanno comunicando segretamente “se il mio insegnante è il migliore allora anche io sono migliore nell’associazione”.
Che cos’è il meglio quando parliamo di una forma d’arte? Le arti sono soggettive. Tu potresti detestare quello che io amo. Quello che a me affascina potrebbe annoiarti fino alle lacrime. Chi ha ragione?

È buono avere approcci, stili, convinzioni differenti.

È buono avere insegnanti, voci, punti di vista differenti.

Il lavoro che tocca le persone prospererà, quello che non lo fa no.

Quando sono stata esposta per la prima volta ad altri approcci, lo ammetto, sono andata sulla difensiva. Non perché avessi paura che uno fosse meglio dell’altro ma perché mi sono sentita attaccata su un piano creativo. Nel libro su cui sto attualmente lavorando parlo del mio primo festival di improvvisazione e di qualcuno che si rivolge al mio team dicendo “quindi voi siete il gruppo johnstoniano, bene vediamo se siete abbastanza bravi”. Un benvenuto interessante.

L’improvvisazione deve seguire le orme di una religione mondiale. Diversi insegnanti che predicano parole sagge che ispirino i propri seguaci. I centri si formano intorno al guru e ai suoi insegnamenti. Ogni stile con la propria terra promessa, sia essa Calgary, Chicago o Londra o dovunque. I templi dell’improvvisazione sono dove ci ritroviamo e cantiamo “Sììììììììì”. Predichiamo l’accettazione e poi non pratichiamo ciò che predichiamo.

Se continuiamo su questo sentiero, come farà la nostra comunità improvvisativa ad andare avanti?

Possiamo alzare muri e lottare gli uni contro gli altri. O possiamo essere inclusivi di insegnanti e credo differenti, rispettare le scelte, imparare ciò che possiamo, poi credere e seguire ciò che ci sembra meglio per noi.

Io sono una studentessa di Keith Johnstone. Sono il suo approccio, credo e tecniche che mi parlano.

È il suo lavoro a ispirarmi. Questo è il sentiero che ho scelto. Quelli di voi che mi conoscono bene o che hanno avuto una discussione con me sull’improvvisazione sanno che ho opinioni forti su ciò che mi piace e ciò che non mi piace, su cosa penso funzioni e cosa penso non funzioni, Cosa mi piace e cosa no. Comunque, difenderò sempre il tuo diritto di seguire, esplorare e creare il lavoro che TU vuoi fare. La mia opinione è solo un'opinione, la mia opinione non dovrebbe influenzare le tue scelte. La sola cosa che dovrebbe influenzare le tue scelte siete TU e le persone con cui lavori. Se non ci interroghiamo e non esploriamo, la forma muore. Impariamo dalle persone che apprezzano o non apprezzano ciò che facciamo.

È un equilibrio delicato tra accettare attivamente le diversità e avere apertamente una opinione. Credo sia qui che l’intenzione e la comunicazione entrano in gioco.

Fatemi ritornare al festival di Austin. Ho avuto il piacere di incontrare tantissime persone meravigliose. Una persona in particolare ha arricchito il mio percorso improvvisativo. Vi presento il meraviglioso Joe Bill. Joe ha avuto Del Close come insegnante ed è il cofondatore dell’Annoyance Theatre e di Bass Prov e insegna all’ I.O.

Se usassimo l’idea di accampamenti improvvisativi differenti dovrebbe essere il mio acerrimo nemico, ma è molto lontano dall’esserlo.

Joe e io ci siamo intrattenuti in conversazioni grandiose e oneste sull’improvvisazione. Mi ricordo che abbiamo passato la maggior parte della festa di chiusura seduti sul pavimento, bevendo qualche birra e immergendoci profondamente nelle reciproche storie, convinzioni, idee e lavori. Ciò che abbiamo scoperto è questa stupefacente connessione in ciò che entrambi credevamo e questa curiosità sulle differenze. Non siamo sempre stati d’accordo, ma divergevamo più su una scelta, stile, applicazione o esposizione. Siamo sempre stati d’accordo sul nucleo di ciò che crediamo sia il lavoro, il cuore della bestia. È stata un'esperienza stupefacente che mi ha aperto gli occhi e mi ha ispirato.

A partire da quella festa ci siamo scambiati molte e-mail continuando la nostra conversazione.

Questa connessione e curiosità ci hanno stuzzicati. Finché, nel 2011, abbiamo avuto l’opportunità di creare "Our Play" e di metterlo in scena in un festival a Wurzburg in Germania. Il concetto era semplice: Joe era stato formato da Del, io ero stata formata da Keith. Cosa sarebbe successo se avessimo messo qualcuno da entrambi gli accampamenti in scena? Avrebbero potuto lavorare insieme? Se Joe mi avesse inserito in un lavoro in stile Del l’avrei compreso? E se io avessi messo Joe in stile Keith l’avrebbe colto? Come sarebbe stato per il pubblico vedere le nostre differenze, le nostre somiglianze?

Il nostro processo di prove è stato di condividere il ricordo della nostra esperienza formativa coi nostri insegnanti. Joe mi ha raccontato molte storie fantastiche su Del e sul come fosse trovarsi in quel processo creativo. Che cosa insegnava, come lo insegnava, quale fosse il significato dietro ad alcune delle sue citazioni famose, che cosa stesse cercando di creare ed esplorare, le interpretazioni errate del lavoro di Del nella scena mondiale e di come Harold fosse tanto mal interpretato. Io ho condiviso l’equivalente della mia esperienza con Keith inludendo le ragioni per cui Theatresports™ è stato tanto male interpretato. Siamo rimasti entrambi profondamente affascinati dai percorsi reciproci e abbiamo anche riso molto.

Abbiamo imparato in molti modi che Del e Keith condividono somiglianze nel loro desiderio e ricerca di liberare l’Improvvisatore. Come sono arrivati a liberarlo e il tipo di lavoro che hanno trovato interessante sono diventati i fattori di definizione del loro stile di lavoro.

Abbiamo deciso che il nostro spettacolo sarebbe partito da noi due che condividevamo alcune citazioni o momenti di Del e Keith.

Poi, nella prima parte Joe avrebbe preso la guida e io avrei giocato nel suo stile, nella seconda parte avremmo giocato nel mio stile. Mi sono sentita completamente al sicuro con Joe e in buone mani ma ero terrorizzata. C’è stato un momento in cui ho pensato “Se farò schifo la gente penserà malissimo del lavoro di Keith - Mio Dio in cosa mi sono infilata”.

Lo show è stato esilarante. La prima parte è stata una long form basata sui personaggi e sulle loro relazioni. Joe ha preso la guida e io mi sono dedicata a ciò che c’era. Tutto ciò che potessi fare era ciò che mi avevano insegnato a fare, ascoltare, valutare, accettare, essere presente, essere ovvia, ispirare il mio partner, essere cambiata, cambiare l’altra persona... È stata una storia deliziosa e ci sono stati momenti che hanno veramente toccato il pubblico.

È stata una sfida difficile partire per seconda. Stavo considerando la forma dello spettacolo volendo creare varietà e offrire qualcosa di diverso. La prima metà aveva avuto alcune scene meravigliose che riguardavano la connessione tra le persone e il cambio emotivo. Queste cose ci sono anche nel lavoro di Keith ma le avevamo già giocate. Avremmo dovuto rifarle per mostrare le nostre somiglianze? Il pubblico si sarebbe sentito tradito? Stavo cercando con tutte le forze di essere intelligente e originale? Avevamo solo mezz’ora per la seconda parte, cosa che aggravava la mia sfida. Quindi ho pensato che a lato del lavoro di Keith ci sono alcune sue tecniche che allenano l’attenzione al proprio partner e la malizia. Anche la nostra curiosità reciproca, la nostra fascinazione per la razza umana e la sua ricerca per dare un significato o un obiettivo al lavoro sul palco. Per esempio lo spettacolo Life Game™ di Keith.

Con questo in mente, ho deciso di far provare a Joe un’esperienza di Keith inserendolo in alcuni esercizi che avremmo fatto nei workshop e per la performance. È stato un piacere vedere il suo volto e vedere dove rischiava d'incagliarsi e quando siamo riusciti a sfangarla. Mi è piaciuto, e spero che Joe trovi il tempo di rispondere a questo blog dal proprio punto di vista.

È stata un'esperienza stupefacente. La risposta del pubblico è stata travolgente e ricevo ancora messaggi dai membri del pubblico e da altri Improvvisatori sullo spettacolo. So che ha aperto a calci delle porte per me e questo è emozionante. Le nostre differenze sono diventate le nostre connessioni e le nostre somiglianze la nostra comunicazione.

Credo ci sia bisogno di una comunità multi-impro.

Credete a ciò che volete, lavorate come volete e ripettate il diritto delle altre persone di fare quello in cui credono. Se ci accordiamo sulle nostre differenze, ci concentriamo sulle nostre somiglianze e troviamo strade per comunicare con onestà, allora "Our Play" può diventare uno stile globale.

Grazie Joe per la tua fiducia, spirito, gioia, talento e fede. Non vedo l’ora della prossima volta, cosa e quando?

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